L’intervista ad Alberto Maggiani – socio fondatore di AIMO e CFTO, DO BSc Ost UK e Coordinatore Ricerca – racconta l’approdo all’osteopatia, il suo percorso e gli studi sul dolore cronico
Buongiorno Dottor Maggiani, può raccontarci com’è arrivato all’osteopatia?
Negli anni ’80 ho frequentato quella che allora era la facoltà di Terapia della Riabilitazione e del linguaggio nella ASL di Pisa. Dopo aver concluso gli studi sono stato chiamato a lavorare subito all’interno del centro Don Gnocchi “S. Maria alla pineta” di Marina di Massa dove mi hanno affidato al reparto scoliosi. La mia formazione, fino a quel momento, era stata incentrata molto sulla riabilitazione neurologica e quando mi sono trovato a lavorare con i pazienti scoliotici ho avvertito una certa impreparazione. Purtroppo anche all’interno del centro i colleghi non avevano delle informazioni determinanti nella cura di questa patologia.
Questa “lacuna” è stata una spinta?
Ho trascorso circa due anni in quel centro e quella situazione mi ha fatto avvertire la necessità di ampliare la mia conoscenza e cercare nuove strade, così ho incontrato l’osteopatia. In quegli anni, era il 1989, sul territorio c’erano solo due scuole: una a Roma e una a Milano. Per esigenze di natura personale ho scelto quest’ultima. Si trattava comunque di corsi part time perché non esistevano proprio i corsi full time. Così ho iniziato a frequentare un corso che ho concluso nel 1995 e ho iniziato a lavorare come osteopata a Milano.
Che scenario ha trovato come osteopata?
I pazienti che incontravo non erano più bambini scoliotici, ma adulti che provavano dolore di varia natura. Di questi, una percentuale cospicua, forse il 30% o addirittura il 50%, avevano dolore cronico. E quando parlo di dolore cronico mi riferisco ad un dolore che persiste per oltre 3 o 6 mesi. Ovvero oltre il normale tempo di recupero di quello che dovrebbe essere un normale dolore alla schiena, al collo o alle articolazioni periferiche, se non sostenute da lesioni tali da giustificarne la permanenza. Quando incontravo questi pazienti iniziavo a fare dei ragionamenti di natura osteopatica.
Cosa intende con “ragionamenti di natura osteopatica”?
L’osteopatia è una disciplina un po’ tra l’arte e la scienza, nel senso che si mettono insieme le informazioni di carattere bio medico, la storia del paziente e tutta un’altra serie di informazioni che si ottengono dall’osservazione e dalla palpazione, ricercando zone dell’apparato di sostegno del corpo che hanno delle disfunzioni. Tutte queste informazioni vengono utilizzate per il ragionamento clinico e conducono alla diagnosi osteopatica. Diciamo che inizialmente applicando questo modello di ragionamento e quindi cercando di capire quale potesse essere la ragione di questo dolore cronico, mettevo in atto dei trattamenti che apparentemente sembravano seguire un razionale. Tuttavia, in una buona parte di questi casi non ottenevo risultati.
Poteva capitare che in taluni pazienti non fosse possibile attuare queste procedure di ragionamento clinico e quindi, in quei casi non mi erano chiare le cause o mi sfuggivano delle informazioni. Cercavo comunque, di applicare un trattamento. La cosa strana è che a volte, nonostante mancasse un razionale terapeutico, questi trattamenti sortivano degli effetti positivi sui pazienti. Era la prima metà degli anni ‘90 e quelle esperienze hanno iniziato a far sorgere delle domande importanti. La più importante era: perché certi pazienti reagivano bene nonostante non vi fosse un razionale terapeutico e altri trattati con un razionale congruo non avevano risultati?
Qual è stata la sua reazione a questi interrogativi?
Diciamo che per fortuna quando iniziai a farmi delle domande prese avvio anche la pubblicazione di tutta una serie di informazioni scientifiche che riguardavano la neurobiologia applicata all’ambito del dolore cronico. Questi articoli scientifici e le nuove informazioni raccolte facevano emergere come, nei pazienti con dolore cronico, alcuni elementi non di natura prettamente biomedica fossero importanti per il mantenimento del dolore cronico. E quindi iniziai a ricercare quali fossero questi elementi responsabili del mantenimento di questo quadro. Così, venni a conoscenza dell’esistenza di tutta una serie di meccanismi di natura neuro-fisiologica, neuro-psicologica capaci, ad esempio, di: aumentare il grado di percezione del dolore, espandere i campi recettoriali del dolore. Ma anche fare in modo che uno stimolo possa provocare del dolore anche quando non dovrebbe e che questo dolore possa permanere oltre i tempi normali di stimolazione. Insomma, tutta una serie di fenomeni che poi sono stati definiti con il termine “sensibilizzazione centrale”.
Da queste ricerche emergeva come il dolore potesse essere paragonato ad uno degli altri sensi dell’organismo. E che, proprio come l’olfatto o la vista, ha dei propri recettori, delle proprie vie di conduzione nervosa e anche dei centri a livello del sistema nervoso centrale che elaborano queste informazioni e danno delle risposte. Questo senso, come gli altri, in qualche modo poteva alterarsi, in modo eccitatorio o inibitorio conducendo per esempio a situazioni dove gli impulsi dolorosi potevano partire anche in assenza di stimolazioni fisiche o per stimolazioni minimali.
Una volta compreso questo fenomeno definito come “sensibilizzazione centrale”, poi riconvertito con il termine “dolore nociplastico”, la ricerca si è concentrata nel capire quali sono gli aspetti che conducono all’alterazione del senso del dolore e, come sempre, le indagini hanno intrapreso varie strade: dagli studi sulla genetica, sulla componente immunitaria a quelli sull’aspetto psicosociale. E questo è il filone che ho seguito di più. Da circa 20 anni sono state raccolte tutta una serie di evidenze che dimostrano come alcune caratteristiche psicosociali dei pazienti influiscano negativamente sulla modulazione del dolore.
Sono pazienti carichi di aspettative?
Non tutti. Sono per la maggior parte persone che hanno tentato prima altre strade e che arrivano all’osteopatia ormai rassegnati, come se fosse un po’ l’ultima spiaggia. Magari solo perché un amico o un parente gli ha suggerito di tentare. Non sono tutti così, ma una buona parte lo è. Diciamo che l’aspettativa quando c’è, è un’ottima cosa e anzi diventa un’alleata da includere nel processo di cura. Se questa manca è meglio che in qualche modo venga recuperata.
Se anche tu soffri di dolore cronico, contattaci e fissa un appuntamento: https://cfto-osteopatia.it/contatti/
Come procedono gli studi sul dolore cronico?
Questo campo di studi è partito dalle neuroscienze e abbraccia ora vari ambiti di ricerca. Grazie alle risonanze magnetiche funzionali è stato possibile vedere una serie di eventi che accadono nelle strutture del cervello e nel caso dei pazienti con dolore cronico si è potuto vedere quali aree si attivano e quando. Per merito di questi studi si è capito che ci sono delle differenze su come funziona la modulazione, l’elaborazione e la percezione del dolore in chi ne soffre in maniera cronica o ricorrente. Corroborata da questi studi ha preso ulteriore slancio la psicologia clinica che ha interesse a indagare la componente emotiva, cognitiva e comportamentale del dolore. E poi questi elementi sono stati fatti propri anche da coloro che si occupano di dolore cronico: osteopati, fisioterapisti e medici. Ma la gestione del dolore cronico sembrerebbe interessare soprattutto agli operatori che hanno il tempo (e la passione) per occuparsi anche di questa parte. Questo ha fatto nascere numerose ricerche nell’ambito osteopatico e nel campo della riabilitazione neuromuscoloscheletrica.
Qual è la posizione di AIMO?
Come sa, noi abbiamo una partnership con l’University College of Osteopathy di Londra, una vera autorità nell’ambito della formazione osteopatica, che ha dato grande slancio allo sviluppo del modello psicosociale. Forse sono stati i primi a sviluppare questo modello all’interno della disciplina osteopatica cosa che in AIMO ha destato un interesse tale da portarci a introdurre un corso dedicato all’’argomento. Corso che al momento nemmeno in UCO esiste. Nel biennio master esiste infatti un corso denominato Pain Management tenuto da psicologi clinici dell’Università Cattolica di Milano che insegnano la gestione del dolore cronico da un punto di vista psicosociale. Dato che il principale motivo di consulto della popolazione che afferisce alle cure osteopatiche è il dolore, vengono tenuti corsi sugli aspetti neurosensoriali e neurobiologici del dolore anche in altre materie Tra l’altro vorrei sottolineare che nel triennio si fanno delle lezioni di psicologia, in particolar modo clinica, in parte per lo studio della psicologia umana generale ma anche contemplando una presa di coscienza su se stessi, di modo che gli studenti siano portati a ragionare su quei loro aspetti individuali che possano giocare un ruolo nell’incontro terapeutico con il paziente. Quindi l’aspetto psicosociale viene fin da principio considerato e coltivato nella formazione degli studenti.
Se vuoi sapere di più sui percorsi di studio della nostra Accademia Italiana di Medicina Osteopatica clicca qui: https://aimoedu.it/corsi/